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D come Dieci, dodici ore di viaggio 5 aprile, 2011

Posted by pierinoilmissionario in L'Alfabeto del cuore.
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Le difficoltà per raggiungere Shisong cominciano in Italia
con la trafila per ottenere il visto d’ingresso in Camerun. Occorrono
molti documenti: il passaporto valido per almeno sei
mesi, tre fotografie, il piano di volo, le vaccinazioni obbligatorie,
una lettera d’invito da parte di qualcuno in Camerun, il
modulo per la richiesta del visto, la tassa che ogni volta è sempre
più cara e a tutt’oggi costa 100 euro. Ma soprattutto occorre
portare il tutto all’Ambasciata del Camerun a Roma.
Lo sportello consolare a Roma, aperto 3 volte la settimana,
chiude a mezzogiorno, per cui se parti da Milano in
treno alle sei del mattino ci arrivi giusto in tempo oppure
devi partire il giorno prima.
Ovviamente il visto non ti viene dato in giornata ma almeno
3-6 giorni lavorativi successivi, per cui devi ritornare
a Roma o mandare qualcuno con delega a ritirarlo che poi
ti consegni il tutto a Milano.
Certo, queste difficoltà sono ridicole rispetto alle difficoltà
che un camerunense incontra per ottenere il visto d’ingresso
in Italia, ma si sa che noi fortunati abitanti della parte ricca
del mondo siamo ormai abituati bene.
Non c’è un volo diretto dall’Italia per il Camerun. Devi
volare Air France o Brussels Airlines o Swiss Air e di conseguenza
da Milano devi fare scalo a Parigi o a Bruxelles o a
Zurigo e poi volare a Douala o Yaoundè. Adesso c’è anche la
Royal Air Maroc: costa meno ma il viaggio è più lungo e
scomodo.
Il volo aereo dura circa sei ore.
Si viaggia di giorno, per cui, se non ti addormenti e se non
ci sono nuvole, ad un certo punto ti accorgi di essere sopra il
Sahara.
Sabbia e rocce rosse per ore di volo a perdita d’occhio.
Solo dall’alto ti rendi conto della vastità ed immensità di questo
gigante in continua espansione.
A metà pomeriggio si arriva. L’aereo fa scalo prima a
Douala e poi dopo altri 40 minuti di volo ti porta a Yaoundè.
Douala è la città più grande, capitale economica del paese
con il grande porto sull’Atlantico; Yaoundè è la vera
capitale sede dell’apparato burocratico.
Generalmente atterriamo a Yaoundè per fare una visita
agli enti con cui collaboriamo per tenerli aggiornati sul progetto:
l’Ambasciata d’Italia, la Nunziatura Apostolica, la
Conferenza Episcopale del Camerun, l’Università ed i vari
Ospedali.
Una volta atterrati tra operazioni doganali e ritiro bagagli
si esce dall’aeroporto che è già notte.
L’Africa la incontri subito, appena scendi dall’aereo. Il suo
caldo umido ti toglie il fiato e non è per i vestiti spesso un po’
pesanti con cui sei partito o per l’aria condizionata dell’aereo.
Cominci a spogliarti e non basta, cominci a sudare e i
vestiti ti si appiccicano addosso e di colpo la stanchezza si
amplifica.
Arrivati in città si va a dormire. In Africa non si viaggia
di notte: di raggiungere Shisong se ne parlerà l’indomani.
Da Yaoundè a Shisong ci sono oltre 400 chilometri di
strada.
È questo il viaggio di dieci, dodici ore di cui voglio parlarvi:
una delle cose più belle che ti possano capitare.
Bisogna partire presto per arrivare di giorno. Sveglia alle
5 e partenza fissata per le 6.
Partire presto significa anche togliersi di dosso il prima
possibile la sconfinata e caotica periferia di Yaoundè.
Ci vengono a prendere le Suore dell’Ospedale di Shisong
con i loro pulmini Toyota da 9 posti.
Gli esperti guidatori velocizzano il carico delle valigie e
stipati, come non mai, si parte.
Ci si lascia lentamente alle spalle Yaoundè e si entra nello
sconfinato verde del Camerun.
La vegetazione è affascinante ed incredibile ai nostri occhi
non abituati.
Si passa da foreste tropicali a decine di chilometri di
piantagioni a perdita d’occhio.
Piantagioni di banane, mango, ananas, papaya per chilometri
e chilometri. Per la prima volta ho visto le piantagioni
di caffè, l’albero della gomma e l’albero del pane.
Superato il ponte sul grande fiume Sanaga, ci si ferma a
fare colazione.
Il caffè ancora caldo dei thermos ed il pane che ci siamo
portati si sposano perfettamente con la frutta freschissima che
i venditori ci preparano col machete davanti ai nostri occhi.
Che sapori, che genuinità!
Ogni 40 chilometri circa ci sono posti di blocco e pedaggi.
Nugoli di donne e bambini si avvicinano per vendere
qualche cosa: frutta, noccioline, canna da zucchero da succhiare,
oggetti di artigianato. Non sono mai troppo invadenti
e sempre col sorriso.
I Toyota sfrecciano e macinano chilometri, i guidatori
sono esperti e conoscono la strada a memoria.
È quasi ora di pranzo e sono passate tra le 6 e le 7 ore dalla
partenza quando si entra nella provincia del North-West.
È la provincia anglofona e tutto cambia ulteriormente.
Questa provincia, da sempre sede dell’opposizione politica
al governo centrale, è sempre stata lasciata indietro nelle
vicende del Paese.
Malgrado questo sembra un’isola più felice e più tranquilla
rispetto al resto del Paese pur essendo sicuramente la
più povera. Le strade asfaltate sono meno del 25% e ce ne
renderemo presto conto.
Ci aspettano ancora 150 chilometri di strada molti dei
quali in terra battuta. Le strade non asfaltate, quasi una pista,
assumono caratteristiche completamente differenti a
seconda della stagione.
Nella stagione secca significano polvere rossa ovunque. I
vestiti, i capelli, la pelle ti diventano rossi. Se i Toyota sono
due, devi mettere qualche chilometro di distanza tra il primo
ed il secondo altrimenti il viaggio per chi sta dietro diventa
impossibile.
Nella stagione delle piogge le strade diventano acquitrini e
crepacci. A volte ci sono buche piene d’acqua che vanno da
lato a lato della strada. Ti devi fermare e solo in quel momento
comprendi a che cosa serva il lungo bastone che tutte le
auto o pulmini portano sul tetto: a misurare quanto è profonda
la buca e quindi se puoi attraversarla o devi girarle intorno.
Una volta abbiamo trovato un’enorme buca piena d’acqua
e cercando di aggirarla ci siamo impantanati nel fango.
Abbiamo dovuto chiedere aiuto a dei ragazzi che dietro pagamento
di 5.000 CFA, circa 8 euro, ci hanno tolto dai guai
spingendo il pulmino oltre l’ostacolo. Ci hanno poi spiegato
che la buca l’avevano fatta proprio quei ragazzi che ci avevano
aiutato e che con quello stratagemma si erano inventati
un remunerativo lavoro.
Durante il viaggio si incontrano due grandi città, prima
Bafoussam e poi Bamenda.
La strada da Bamenda a Shisong è molto bella.
Si sale rapidamente fino ad attraversare il passo Sabga
ad oltre 2.500 metri e poi si scende vertiginosamente. È
montagna vera: vento, cascate, rocce e vista mozzafiato fino
ai laghi di Bamenda.
Da Bamenda a Shisong sono quasi 2 ore ma passano
veloci per la bellezza del paesaggio e l’eccitazione di arrivare
alla meta.
A Shisong è ancora un’altra Africa. Siamo su un altopiano
ad oltre 1.700 metri sul livello del mare. Sembra di stare
in Svizzera. Conifere, odore di legna bruciata ed eucalipto,
vegetazione prorompente quasi violenta.
Da lontano si scorge l’antenna ripetitore di Kumbo, la
grande cittadina praticamente attaccata a Shisong: è il segnale
che si è arrivati.
Ci siamo, siamo arrivati a Shisong, la parrocchia del Sacro
Cuore, i tetti verdi dell’Ospedale, il convento delle Suore.
Ti senti a casa.
Sono passate dieci, dodici ore da quando siamo partiti
da Yaoundè. Siamo stanchissimi e mi viene da pensare a
tutte quelle migliaia di malati che si fanno lo stesso viaggio
per arrivare a Shisong a farsi curare e che devono arrivare
stremati.
Questa è l’Africa.
L’Africa lontana da qualsiasi circuito turistico, lontana
dai safari organizzati e dai club Mediterranee.
Questa è l’Africa dei Missionari, quella che hai sempre
voglia di raccontare.

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